Maternità tra nuove sfide e sensi di colpa

Francesco Ferranti

Francesco Ferranti

Psicologo - Psicoterapeuta

Oggi voglio parlarvi di cosa significhi davvero essere genitori oggi. Perché anche se non sembra, le cose sono cambiate, ed anche di parecchio.

A cambiare, prima di tutto, è stato il concetto di famiglia: se prima tutto girava intorno alla figura della madre casalinga che doveva prendersi cura dei figli mentre il padre lavoratore pensa a portare a casa la pagnotta, oggi non è più cosi.

Fortunatamente, anche i ruoli sociali si evolvono: si è passati oggi, da un concetto di famiglia più ampio e soprattutto orientato sulle pari opportunità: oggi le mamme non sono solo mamme, ma anche donne, lavoratrici ed in carriera.

Le donne di oggi sono forti ed indipendenti e non vogliono (o non possono) rinunciare al proprio lavoro e alla propria libertà.

Pensaci: quante donne pochi mesi dopo aver partorito sono costrette a tornare a lavorare per la paura di vedersi soffiare il posto di lavoro da colleghe più giovani e non madri? Il mondo del lavoro costringe oggi le donne a scegliere cosa fare della loro vita: lavoro o figli?

Qualcuno, con un bel po’ di presunzione fa domande di questo tipo anche durante i colloqui di lavoro. Oggi, però, non è ammissibile che una donna debba dover rinunciare ad una delle due cose per vivere bene.

Maternità e lavoro: una nuova sfida

La vita di una mamma lavoratrice è fatta di sacrifici e di tempo cadenzato: non potrà restare vicino al suo bambino tutto il giorno e dovrà per forza delegare le attenzioni di cui ha bisogno a qualcun altro.

C’è chi ha la fortuna di poter affidare il proprio neonato a cure di persone conosciute come nonni, amici e parenti e chi invece deve per forza affidarsi ad asili nido.

Riguardo il precoce ingresso nel mondo della socializzazione per bambini cosi piccoli ci sono diverse correnti di pensiero.

C’è chi pensa che non tenere troppo il bambino sotto la protezione della mamma lo aiuti ad essere più indipendente in futuro e a riuscire a cavarsela da solo, ma non è esattamente cosi. Ti spiego subito perché: il contatto continuo con la madre e il distacco graduale durante l’inserimento all’asilo, abitua il bimbo all’assenza temporanea della madre.

Maternità e lavoro: lo porto al nido?

Ci potranno essere pianti disperati e il cuore di voi mamme potrebbe stringersi un po’, ma tutto passerà con il vostro aiuto e le vostre rassicurazioni.

Piangere dopo che la mamma li ha lasciati all’asilo è normale per tutti i bambini e anzi sono proprio quei pianti che aiutano il bambino a capire come esprimere le proprie emozioni e diventare più maturo. Per il nido, il discorso cambia: un piccolo neonato non è assolutamente in grado di capire che la scomparsa della sua mamma dal suo campo visivo è momentanea.

Si sentirà abbandonato e farà molta fatica ad abituarsi al nuovo ambiente. Per questo sarebbe meglio evitare l’inserimento precoce. Purtroppo, però, ci sono circostanze che costringono le giovani madri a portare i bambini in strutture che possano assisterli e accudirli quando la mamma non può farlo.

Basta sensi di colpa

In casi come questo, capita molto spesso che le giovani madri si sentano in colpa per il fatto di abbandonare il proprio piccolo alle mani di qualcun altro per tutte quelle ore. Il contatto fisico, per un neonato, è un aspetto fondamentale. Solo attraverso quel contatto il bimbo può rendersi effettivamente conto di una presenza.

Le mamme di questa generazione si sono adeguate a nuovi ritmi ed esperienze, rinunciando di fatto al contatto costante con il neonato a cui la generazione precedente le aveva abituate. La loro mente è piena di dubbi e domande, e a volte pensano di essere cattive madri.

Care mamme: non sentitevi in colpa se portate il bimbo al nido per andare al lavoro. Tutto quello che state facendo, è per il loro futuro. Ci sarà tempo per gli abbracci.

Alla prossima!

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