Perché dimentichiamo di essere umani?

Francesco Ferranti

Francesco Ferranti

Psicologo - Psicoterapeuta

Svegliarsi al mattino, sentire il profumo del caffè, l’aria di un nuovo giorno pieno di speranze e, purtroppo, anche di timori, lavarsi, vestirsi, dare avvio ad una nuova routine fatta di impegni e scadenza ci fa sentire, nel bene e nel male, esseri umani.

Che sia una benedizione o meno, ogni mattina vengono soddisfatti dei bisogni cosiddetti “fisiologici” come il mangiare e il bere ma spesso questi ultimi vengono accompagnati da bisogni che potrebbero essere definiti come “sociali” o, magari per rendere il pensiero ancor più cristallizzato, “convenzionali”.

“Amore mi porti la colazione a letto”; “beata te, mio marito non mi ha mai portato nemmeno un caffè a letto nonostante lui si rechi a lavoro più tardi di me”; “non ho bisogno di un uomo che mi porti la colazione a letto! Sono indipendente da questo tipo di attenzioni!”. Questi appena elencati sono solo alcuni dei tipici dialoghi/luoghi comuni che ogni giorno si susseguono tra amiche, coppie o, semplicemente, nei pensieri di chi vorrebbe ricevere “questo caffè a letto” ma trova, nella realtà, un bisogno totalmente inappagato.

Certo è che l’esempio del caffè può sembrare banale se paragonato ad un bisogno emotivo ed affettivo ma spesso dietro questi tipi di gesti “materiali” si nascondono tutte quelle attenzioni che tanto fanno sentire amati e apprezzati.

L’indipendenza emotiva come arma di difesa contro la società globalizzata e consumista

Oggigiorno si sente parlare, probabilmente in maniera smisurata, di indipendenza, autonomia, c’è anche chi si è, addirittura, sposato con sé stesso. Gesto importante, su questo non c’è dubbio, ma bisogna chiedersi: questa costante ricerca dell’indipendenza emotiva, dalla quale prescinde anche quella economica, non è forse la ricerca stessa di una felicità che vorremmo trovare nel nostro partner, migliore amico/a, famiglia ecc?

Le delusioni, che siano amorose o famigliari, rendono il nostro approcciarsi al prossimo sempre più cauto e, spesso, troppo diffidente. Molte coppie, con l’avvento e, per fortuna, il cambio di rotta della posizione sociale e privata della donna, stanno vivendo momenti di alti e bassi dovuti a questo switch che si è venuto a creare nei “ruoli”.

A metà degli anni 50’ l’uomo si sentiva realizzato, come anche oggi (dato che questo retaggio è ancor difficile da far tramontare), se portava a casa “la pagnotta”; dal canto suo la donna era felice se riusciva a “dare” al suo uomo figli sani, un buon piatto in tavola e la biancheria pulita.

Al giorno d’oggi invece la donna non ricava più solamente successo e appagamento personale dall’adempimento di compiti prettamente casalinghi, bensì cerca di affermarsi nel mondo, nella società, nella psiche maschile rivendicando ruoli e compiti definiti spesso “troppo virili” per poter essere svolti dal “sesso debole”. Ciò non toglie che questo riposizionamento della donna abbia leso anche la tanto agognata e auspicata “virilità” dell’uomo che nelle relazioni ora si sente meno “possessore” della donna e detentore del potere relazionale.  

 

I bisogni emotivi possono essere appagati anche senza concepire un essere umano come possesso

“Oggi ti porto a cena fuori”; “ho preparato le frittelle alle mele che tanto piacciono a Luigi”: questi due esempi, sono due esempi di dimensioni diverse per appagare, attraverso un bene materiale, la cena e le frittelle, un bisogno emotivo: sentirmi uomo appagato perché “pago la cena” e rendere felice “la mia donna” e “accontentare” una voglia culinaria di mio marito per ben adempiere al “mio compito di mogliettina perfetta”.

Ebbene sì, per fortuna molte cose sono cambiate anche se spesso queste cose non cambiano mai realmente ma si adattano alle circostanze nelle quali si compiono determinate dinamiche.

 Citando un passo di John Gray “Oltre Marte e Venere”, i bisogni emotivi non sono mai cambiati realmente, ad esempio il bisogno di amore personale per le donne e di successo personale per gli uomini; ciò che è cambiato è il modo attraverso il quale vengono soddisfatti questi bisogni.

Gray afferma che il primo passo per sentirsi soddisfatti in una relazione è quella di non dipendere emotivamente dall’altro e di essere capaci di costruire la propria felicità da soli, senza continue conferme da parte del partner. Ed è qui che risiede il cambiamento: la ragazza che rifiuta la cena pagata non è maleducata o ingrata, ma ha semplicemente voglia di sedersi al tavolo e gustarsi una bella pizza pagando con soldi che si è guadagnata dopo aver combattuto con molti stereotipi legati alle donne nel mondo del lavoro. Stessa cosa vale per l’uomo: un uomo può, e oserei dire “deve”, sentirsi appagato, indipendente e di successo senza che questi suoi raggiungimenti provengano dall’esultazione della propria compagna o dagli insuccessi di quest’ultima (per potersi sentire, in questo modo, più “forte”).

Riportando una frase molto “social”: per essere felici ci vuole coraggio e bisognerebbe aggiungere, anche molta indipendenza mentale e affettiva.

Siamo più forti di quanto crediamo e non abbiamo bisogno di continue conferme perché il nostro vissuto, le nostre emozioni e i nostri sacrifici appartengono a noi e alla nostra esperienza; ovviamente la condivisione è importante ma l’appagamento personale non può prescindere da una persona diversa da noi stessi.

Ogni essere umano è unico, perciò il punto di vista sarà sempre diverso. Impariamo ad essere più umani, anzi, impariamo ad ascoltare i nostri bisogni emotivi che ci rendono, nel fantastico caleidoscopio emotivo, più umani di quanto crediamo.

E’ per questo che il primo bisogno emotivo da soddisfare è quello di sentirsi esseri umani nella totale imperfezione e libertà che ci rende tali.

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