Perché non riesco a studiare?

Francesco Ferranti

Francesco Ferranti

Psicologo - Psicoterapeuta

Uno dei primi studiosi che ha approfondito il rapporto tra ansia d’esame e prestazione è stato Richard Alpert, come spesso accade in questi casi lo studio iniziò per curiosità personale. Alpert non riusciva a capire il motivo per cui il suo collega di corso pur essendo una persona ansiosa riusciva ad avere una performance migliore della sua.

Alpert con i suoi studi ha dimostrato come ci siano due tipi di studenti ansiosi:

  • il primo tipo utilizza l’ansia per motivarsi ed impegnarsi maggiormente davanti ad un compito;
  • il secondo tipo invece davanti ad un compito vive un’ansia talmente elevata che lo porta a sabotare tutti i suoi sforzi, questa eccessiva attivazione interferisce concretamente con la capacità di memorizzare e di pensare.

Chi si preoccupa eccessivamente davanti ad una interrogazione o compito in classe,  toglie importanti risorse mentali che sarebbero estremamente utili se convogliate alla risoluzione del problema, con la conseguenza che la persona vedrà realizzare proprio lo scenario che più teme, ovvero dei risultati non all’altezza delle proprie aspettative.

I classici testi di psicologia parlano del rapporto tra ansia e prestazione come di una U rovesciata.

Nella prima parte del grafico è possibile vedere come una bassa attivazione porti ad una scarsa performance, questo è tipico dell’apatia, di quei soggetti che hanno una motivazione troppo scarsa per impegnarsi nel compito.

Un’attivazione moderata porta la persona ad attuare quei comportamenti adeguati per poter raggiungere una buona performance.

Il picco risulta essere il rapporto ottimale tra ansia prestazione.

La seconda parte del grafico mostra un’ansia esagerata che di fatto si traduce in un sabotaggio di qualunque tentativo di successo.

Come incide l’umore?

Anche l’umore incide sulla prestazione, un umore leggermente euforico è associato ad una buona performance per tutti quei compiti che richiedono creatività e fantasia.

Anche in questo caso il “troppo crea danni”, quando l’umore risulta essere eccessivamente elevato (mania) l’individuo che ne soffre non riesce a portare a termine i suoi compiti, l’agitazione è talmente elevata da compromettere la capacità di pensare e di prestare attenzione alle attività da svolgere.

Il buonumore aumenta la capacità di pensare in modo flessibile, ci mette nelle condizioni ideali per poter risolvere i problemi sia intellettuali che interpersonali.  

Questo avviene perché l’umore è in grado di far “vacillare” il nostro pensiero, gli individui che hanno un buon umore tendono a percepire positivamente le situazioni e di conseguenza il comportamento che metteranno in atto sarà idoneo a risolvere il problema.

Quando siamo di buonumore la nostra mente ricorda una quantità maggiore di eventi positivi, di conseguenza nel momento in cui andiamo a valutare i pro e i contro di un dato evento la nostra mente ci porterà in una direzione positiva, aumentando di fatto la nostra intraprendenza e il nostro coraggio nell’affrontare una data situazione.

Per lo stesso motivo il cattivo umore orienta la nostra memoria in una direzione negativa, aumentando la possibilità che i nostri comportamenti siano il frutto di un’opzione eccessivamente prudente dettata dalla paura.

Se desiderate un buon libro per approfondire come le emozioni siano in grado di incidere sui nostri comportamenti vi consiglio di leggere il testo di Goleman che troverete qui.

Per concludere, è facile intuire come le emozioni siano in grado di influenzare notevolmente il nostro pensiero, imparare a gestirle significa quindi metterci nelle condizioni migliori per poter realizzare ciò che davvero conta per noi, perché un conto è “fuggire da…” un conto è “andare verso…” in entrambi casi ci muoviamo ma ciò che ci spinge è qualcosa di totalmente diverso.

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